L’alberghetto in collina è sempre lo stesso. Faccio ancora lo stesso errore nel ritrovare la strada. Sbaglio sempre.
Anche le panche sotto gli ulivi che ci vedranno accaldati, attenti, entusiasti sono uguali. Solo un po’ più screpolate. La salsedine erode e lavora anche a distanza.
Io, di nascosto come ogni anno, incido una lettera sotto la panca nel punto in cui prendo posto il primo giorno. Sempre la stessa lettera. Un’altra A. Come ancòra. Ancora qui. Ad ascoltare ancora parole.
Sotto le foglie strette e argentee degli ulivi – provvidenziali, sbriciolano i raggi del sole che altrimenti batterebbero in testa, intollerabili – ascolto la voce della prof. che come sempre entusiasma. Avvince. Porta via.
Due ore belle piene di lezione. Mai noia. Appena finito ci si accorda sul cosa fare . Pomeriggio in spiaggia . A Lerici . Incantevole. Giusto un paio d’ore di totale relax al mare.
Ritorniamo all’alberghetto isolato e familiare. Doccia e cambio veloce. Cena in Sarzana vecchia. Nella piazza principale c’è gente, riconosco qualche volto noto. La serata corre via veloce. Il sonno fatica ad acchiapparmi. Scappo, non voglio farmi prendere. Niente libri stanotte. Ho bisogno di un sano e ipnotico rimbambimento da TV. Sto sveglia fino a quasi le tre.
Mattino successivo. L’acqua del water esce dal basamento di ceramica appoggiato al pavimento in bagno. Lo faccio presente alla reception. La camera 16 è una delle più vecchie mi dicono, gli ospiti non lo sanno ma andrebbe rifatto quel bagnetto lì, continua la signora, comunque ci pensiamo poi noi ,non si preoccupi che per stasera è tutto a posto.
Mentre aspetto di cominciare la lezione sento e immagino il rumore lento delle gocce che si perdono dallo sciacquone e scendono implacabili allagando l’esiguo spazio tra il water e la doccia. Stasera quando rientro me la trovo tutta allagata un’altra volta.
La lezione vola via allegra , veloce – una vela al vento di bolina.
Le parole scivolano come tavole da surf sulle onde di Waikiki beach. Nessuna sbavatura. Io mi ci metto sopra e mi lascio trasportare, liscia , a volte però freno, inciampo. Le parole sgomitano nella calca dei pensieri, voglio trattenerle tutte. Senza perdermene nemmeno una. Eppure.
La fila di formiche rossonere che si intrufola tra i due tavoli di legno su cui lavoriamo mi distrae. E anche un bel po’. Inoltre son cattive ‘ste formiche, pungono. Urticano. Decidiamo di ucciderle. Annientarle per poter continuare a lavorare in santa pace. Tempo due minuti e i tavoli diventano un campo di battaglia e poi un cimitero di guerra. Cadaveri ovunque. Che schifo. Si riparte. Il confronto Mansfield-Woolf è talmente interessante.
E mi chiedo: sono più Mansfield o Woolf, io? La risposta rimbalza come una palla da tennis tirata bene. Un lungo diritto impeccabile da parte della Woolf, un rovescio e una vollè imprendibili da parte di Mansfield. E non so dove guardare, su quale dei due giocatori concentrarmi , a quale dei due affezionarmi.
Poi, col dipanarsi del match, capisco che l’una non potrebbe “vivere” senza l’altra , l’una rende bella l’altra. Insomma sto assistendo a una finale da Grande Slam irripetibile.
Mansfield contro Woolf. Mansfield con Woolf. O Woolf con Mansfield.
Cambiando gli addendi il risultato non cambia. M. + W o W + M uguale : Meraviglia. Delizia per la mente. Dopo la lectio il gruppo come sempre si smembra. Noi, aficionados, andremo al mare di sicuro.
Pranzo veloce con gelati, insalatone, o piovra bollita in una baretto stipato di uno stabilimento a Lerici. Mezz’ora di relax sugli scogli. Discorsi disparati. Ci si conosce sempre di più e meglio. Poi di nuovo in albergo . Stasera grande rendez-vous al castello Malaspina di Fosdinovo.
Arriviamo intorno alle otto. Forse anche prima. Il castello ci accoglie, massiccio, benevolo. Salendo i gradoni di pietra mi sento bene.
Ci fa da guida il “marchesino Pietro” figlio del marchese Vieri Malaspina.
È un bel ragazzo barbuto, coi denti grossi e squadrati, un naso imponente “da marchese” e le mani curate. Sembra il figlio giovane di Che Guevara. È bella questa contraddizione fisica, un marchese-Che.
Il marchese-Che è di una simpatia contagiosissima. Gli chiedo tutto, i dettagli del soggiorno dantesco al castello, la storia dello spirito di Bianca Maria che aleggia trasudando dalle pareti dentro cui è stata barbaramente murata perché – sfiga volle – si era innamorata dello stalliere di famiglia. Mi inquieto nella stanza in cui morì suo padre, e impongo le mani sulle coperte di broccato color zafferano perché voglio a tutti i costi sentire il refolo del suo respiro che la storia narra sia rimasto lì, sotto le coperte. Il respiro non mi arriva, ma il battito del cuore, chiuso dentro uno dei melograni di legno intagliati che sostengono la pediera del letto, quello sì che arriva. Forte e chiaro. Gioiosamente inquietante. Anche Chiara porge l’orecchio e anche lei capta. Allora non sono proprio una matta suggestionabile. Allora ‘sta suggestione non è scesa solo su di me. Si è irraggiata piuttosto a mo’ di spirito santo nella Pentecoste anche su altri elementi del gruppo. Buon per noi. Graziati.
Al castello è tutto allegramente sinistro. Siamo al “di qua del Magra”. Siamo nel ramo Spino Fiorito e si sente. Quando mi servono un prosecco sublime in un bicchiere di terracotta, a tramonto inoltrato, in uno dei chiostri della parte alta del castello, ho un momento di vero godimento.
Che viene prolungato e accentuato dall’arrivo del pane sciapo su cui son stati adagiati strati di lardo di Colonnata eccellente, come non ne assaggiavo da tempo.
Quando arrivo al tavolo allestito per la cena son quasi sazia. Sbocconcello un po’ di tutto. Lasagnette, gnocchi fatti in casa, fagioli della Garfagnana, dolci. Solo il vino non mi piace. Era decisamente meglio il prosecco bevuto nel chiostro un’ora prima. Crostini toscani, formaggi di capra seguono senza sosta e ci riempiono il cuore prima ancora della pancia.
Serata tra miserie e nobiltà, tanto per stare in tema letterario.
Bella da starci tutta la sera. Calda da sudare buono. Indimenticabile.
Il mattino dopo è sempre troppo corto. Sarà perché è l’ultimo giorno , e come tutti gli ultimi giorni sembra non veda l’ora di passare, consumarsi, sparire. E infatti.
Oggi oltre alla Manfield e alla Woolf introduciamo la contemporaneità di Zadie Smith che ci fa vivere un giorno di Natale grandioso.
Di tutti e per tutti – tutti noi che siamo qui e siamo parecchi e parecchio diversi.
E mi ritrovo lì, dentro la storia, con la magia che sempre mi avvolge quando avviene il miracolo. Quando la letteratura mi prende per mano e mi porta via, con sé.
Che poi, altro non fa – ne ho sempre più consapevolezza – che riportarmi a casa, ogni volta.
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Di Alessandra Caccia